Ho deciso di dedicare questa sezione del mio sito a mio padre, prof. ing. Marcello Vittorini, che è stato un architetto, urbanista e appassionato professore universitario, che ha contribuito alla formazione di una generazione di architetti e studiosi di urbanistica. La ragione per cui lo cito in testa a questa sezione è perché il primo a parlare della necessità di suddividere in sette città Roma è stato lui nel 1984. Mio padre infatti dopo molti anni di lavoro sui piani urbanistici di tante città italiane e estere, capì la necessità di suddividere l’enorme territorio romano, per venire a capo delle gravi inefficienze della capitale. Confesso che tra le ragioni che mi hanno spinto a tornare a fare politica dopo moltissimi anni di libera professione, è stato proprio il senso di riconoscenza, verso di lui. Il desiderio di raccogliere quell’eredità intellettuale che ha lasciato a me come figlio, ingegnere civile e appassionato di urbanistica, ma soprattutto, l’eredità che ha lasciato a Roma, la città che lo aveva accolto e che amava moltissimo. Da quando mio padre ha formulato per la prima volta la teoria delle sette città che qui andremo a sviscerare in tutte le sue implicazioni, Roma è profondamente cambiata, si è comunque trasformata, ma purtroppo in peggio. Tutte quelle criticità che già quarant’anni fà spinsero Marcello Vittorini a scrivere il primo articolo sulle sette città sono ancora valide. Oggi più di ieri, la situazione è emergenziale e l’attuazione della teoria delle sette città ancora più necessaria.
L’incredibile espansione urbanistica di Roma, disordinata, caotica, anarchica, spesso completamente abusiva e comunque sempre figlia di una fame abitativa, cieca rispetto alle reali necessità di un’evoluzione coerente e pianificata, ha generato la città in cui noi tutti abitiamo. Eppure, nonostante questa lucida visione sul passato, mio padre ed io con lui abbiamo sempre creduto che la disciplina urbanistica, non è studio accademico fine a se stesso ma una scienza al servizio dell’uomo e delle sue esigenze.
Inizio sempre a spiegare questa teoria di Roma e le sette città, propria da una cartina dell’immenso territorio romano.
Non è vero, come molti pensano, che i problemi di Roma sono irrisolvibili. È necessario però inquadrare nella giusta prospettiva, comprendere che tutto ciò che non funziona ha origine nella dottrina accentratrice che ha condannato questa metropoli all’ingovernabilità, all’inefficienza endemica e quindi alla sfiducia cronica dei suoi abitanti nelle istituzioni.
Occorre capire che l’unico modo per sconfiggere questa sorta di maledizione è suddividere questo gigantesco mostro urbano in un sistema di città come è stato già fatto (da decenni) in tutte le maggiori città europee (Berlino, Parigi, Londra, Barcellona, Madrid, etc.).
D’altro canto ben pochi sanno che l’intero Comune di Milano entra 7 volte nel comune di Roma, quello di Torino 10 volte e quello di Firenze 13 volte.
Ed una città medio grande come Bergamo entrerebbe nel Comune di Roma ben 25 volte
Per agire in tempi brevi occorre partire dall’attuale sistema stellare di suddivisione dei 15 Municipi di Roma e, tenendo conto delle caratteristiche morfologiche ed orografiche dell’immenso territorio di Roma, individuare dei limiti fisici chiaramente leggibili e riconoscibili.
Considerando i limiti imposti dal Tevere (a Nord e a Sud del Centro Storico), il cuneo verde del Parco dell’Appia Antica, nonché quello di Villa Doria Pamphily prolungato lungo l’Aurelia, fino alla tenuta di Castel di Guido, i limiti della città consolidata, le porzioni di agro romano che ancora separano gli insediamenti costieri dal rimanente territorio comunale, emergono chiaramente le 7 città su cui impostare la rinascita di Roma.
Tutte le future 7 città di Roma, ad esclusione del centro storico, sono costituite da realtà più consolidate (verso il centro storico) e da realtà da consolidare (verso la periferia).
Una politica efficace, di lungo periodo, si deve basare sul riequilibrio, nel territorio delle 7 città di Roma, del rapporto fra abitanti, posti di lavoro e servizi così da ridurre le necessità di spostamento e la domanda di mobilità.
Ridistribuendo attività e funzioni si interviene sulla causa principale delle congestione e del traffico e cioè sulla “domanda di mobilità” legata alla perversa logica, tutta romana, di concentrare le attività nel centro storico o ai suoi margini o lungo le via radiali della Città.
Se riuscissimo a far diventare una vera città la parte consolidata (dotandola di attività, servizi, attrezzature superiori all’interno di una riorganizzazione complessiva del trasporto pubblico) e PAESI (equilibrati, organizzati, risistemati, ognuno con le loro piazze, le loro chiese, i loro giardini pubblici, i loro spazi di relazione) le attuali borgate semi abusive, faremo un’ OPERAZIONE GIGANTESCA trasformando il mostro urbano di Roma in un sistema di città vivibili, ognuna dotata di una solida struttura amministrativa, sociale ed economica oltre che di una ricca dotazione di servizi: dall’Università al Tribunale, dalle attrezzature sportive a quelle culturali e di spettacolo, dalle attrezzature commerciali a quelle artigianali e ricettive.
All’interno delle future 7 città di Roma (La più piccola 230.000 abitanti e la più grande di 800.000 abitanti) si potranno garantire governabilità e qualità della vita, per raggiungere gli stessi livelli di efficienza delle altre città medio grandi d’Italia.
Si tratterebbe di organizzare città medio-grandi, con parti consolidate e aree periferiche da organizzare come agglomerati minori di 5.000-30.000 abitanti all’interno delle quali andranno individuate Unità Urbane Elementari (equivalenti agli antichi rioni, quartieri, sestieri, contrade) ciascuna dotata dei suoi luoghi centrali (Corso, Piazza, Parco pubblico).
D’altro canto, in tutte le città di Italia, esclusa Roma, si pianifica lo sviluppo della città su planimetrie in scala 1:5000 con approfondimenti in scala 1:1000 o 1:2000.
A Roma, a causa dell’enorme dimensione della città, si pianifica in scala 1:25.000 e le cartografie più utilizzate sono nel rapporto 1:50.000.
Ciò significa che a Roma la pianificazione è, inevitabilmente, 10 volte meno approfondita di quella di altre città come ad esempio Milano, Torino, Firenze.
Roma è stata edificata sui 7 colli ad est del Tevere, è stata governata in successione da 7 Re, ognuno dei quali ha contribuito alla formazione della città attraverso l’introduzione di leggi e consuetudini.
Attualmente a Roma il rapporto tra amministratore e cittadini, in termini di rappresentanza democratica, è 1 a 60.000.
Un’anomalia strutturale unica in Italia e in tutta Europa. In quest’ottica il progetto delle 7 città sembra l’unica via ragionevole per tornare a un livello di rappresentanza democratica accettabile, paragonabile quantomeno alle altre città italiane.